Staffarda - 18 agosto 1690
Il 1690 era il terzo anno della guerra dei nove anni e il duca Vittorio Amedeo II disponeva di soli 8.000 uomini in armi.
Il Re Sole chiese che 2.000 fanti e tre reggimenti di dragoni di Vittorio Amedeo II fossero inviati nei Paesi Bassi o alternativamente contro gli Spagnoli di Milano e che le fortezze di Verrua e Torino venissero occupate dai Francesi, altrimenti «il duca sarà punito in modo da ricordarsene per tutta la vita». Vittorio Amedeo offrì allora la sua alleanza alla Lega di Augusta.
Il Ducato avrebbe ricevuto rinforzi spagnoli da Milano e truppe imperiali dall’Austria nonché sostegno economico da Inghilterra e Repubblica delle Province Unite (l’attuale Olanda).
Alla stipula dell’accordo i Francesi passarono le Alpi con un’armata agli ordini di Nicolas Catinat, uno dei migliori comandanti dell’epoca, armata che in realtà aveva già messo piede in Piemonte con la scusa di combattere gli eretici valdesi (Catinat sul nostro territorio venne nel 1686, quando affiancò i Savoia nelle campagne di persecuzione ai Valdesi; il 17 maggio di quell’anno ne massacrò più di 60 nella frazione di Balziglia - Comune di Massello - in Val Germanasca).
L’armata francese in Piemonte, secondo alcune fonti, poteva contare su 13.000 uomini: 8.000 fanti e 2.400 cavalieri, 2.000 dragoni e 12 cannoni da campo.
Il duca Vittorio Amedeo II senza attendere le truppe imperiali e contro il parere dei suoi consiglieri de Louvigny e Eugenio di Savoia-Carignano, decise di affrontare in campo aperto l’armata francese in Piemonte forte del vantaggio numerico (15.600 uomini: 10.000 fanti, 3.000 cavalieri, 2.000 dragoni e 12 cannoni da campo).
I due eserciti si scontrarono sulle rive del Po, presso l’abbazia di Staffarda, su un terreno acquitrinoso e malsano.
Gli alleati si schierarono con la destra protetta dal terreno paludoso e la sinistra dal fiume, su due linee.
Di fronte a loro l’armata di Catinat, meno numerosa, ma molto meglio equipaggiata e addestrata, anch’essa su due linee, nel classico schieramento dell’epoca, con la cavalleria sulle ali e la fanteria al centro.
Alcune cascine interrompevano la pianura, più o meno davanti all’ala destra alleata.
Il racconto della battaglia, di sola parte francese, riporta di duri scontri per il possesso di queste cascine perse e poi riprese, a costo altissimo in vite umane, dagli alleati, mentre l’ala sinistra piemontese veniva minacciata dai dragoni francesi penetrati nella boscaglia.
Il combattimento coinvolse ben presto tutta la prima linea di entrambi gli schieramenti logorando soprattutto le fanterie alleate. Quando i francesi attaccarono con la seconda linea, tenuta fino a quel momento di riserva, fu chiaro che Vittorio Amedeo non aveva più truppe da opporre e l’intero centro alleato crollò sotto la spinta avversaria.
I fanti milanesi e piemontesi fuggirono disordinatamente verso il Po, e il disastro fu evitato grazie al coraggio e all’abnegazione della cavalleria savoiarda, che rallentò l’inseguimento nemico quel tanto che bastò per permettere all’esercito in rotta di attraversare il fiume.
La ritirata dell'esercito sabaudo fu coperta dalle Guardie e dai Carabinieri di Savoia, mentre il grosso ripiegò su Carignano e Moncalieri.
Piemontesi e Spagnoli ebbero 2.800 morti, 1.200 prigionieri, 2.700 feriti e persero 11 cannoni su 12.
Il Catinat ebbe 2.000 morti.